L’ex terzino Raniero Di Cunzolo:”Al Savoia i miei migliori anni. Questo pubblico non c’entra nulla con queste categorie”

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Con il forte ex esterno oplontino, abbiamo ripercorso quelle fantastiche annate che contribuirono a rilanciare i bianchi nel calcio che conta.

Circa 150 presenze e 7 reti in maglia bianca: Una vita al Savoia, vincendo due campionati e lasciando il segno sia per le sue qualità tecniche che umane. Stiamo parlando di Raniero Di Cunzolo, senza dubbio uno dei terzini più forti che i tifosi oplontini, abbiano ammirato negli ultimi trenta anni. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, per ripercorrere quegli anni indimenticabili che hanno visto i bianchi, scalare lentamente i gradini del successo, partendo dalla categorie regionali per approdare sino alla C1. Mentre parla con noi, riguarda nel frattempo le vecchie immagini e i vecchi ricordi del passato, affinché gli ritornino i mente in maniera ancor più vivida.

Raniero, attualmente sei ancora nel mondo del calcio?

No, dopo aver terminato la carriera, mi sono dedicato ad altro. Per molti anni, ho abitato a Torre Annunziata; non tutti lo sanno ma mi sono sposato proprio li’, ed attualmente, mio figlio è ancora li’.

Come mai hai deciso di tagliare con questo mondo? Avresti potuto continuare ad allenare…

Ho deciso di chiudere perché, a dir la verità, non mi riconoscevo più in questo nuovo modo di intendere e concepire questo sport che si è allontanato da alcuni valori che ritengo fondamentali.

In effetti, ai tuoi tempi, il mondo del calcio era completamente diverso…

Si, tutto era completamente diverso. Non giravano tutti questi soldi e giocava solo chi meritava veramente. Ricordo, ad esempio, il primo campionato disputato in D con il Savoia, che poi vincemmo dopo un entusiasmante cavalcata, conclusasi solo all’ultima giornata: Eravamo un gruppo davvero unito e ognuno di noi, aveva fame e voglia di mettersi in mostra, per emergere. Al giorno d’oggi, invece, soprattutto i giovani calciatori, hanno troppa presunzione; credono di essere forti e non sono disposti a fare la gavetta, partendo dal basso.

E’ dopo gli anni 90’, secondo te, che tutto è mutato?

A mio avviso, quando si è cominciato a capire che si potevano ottenere guadagni facili. Hanno iniziato a circolare improvvisamente tanti soldi e interessi e di conseguenza, sono spuntati fuori falsi procuratori e millantatori, pronti a sfruttare la situazione. È per questo che ora, non seguo più i campionati minori. Come ti ho detto prima, per diventare titolare ai miei tempi, dovevi davvero sudare, guadagnarti sul campo, la fiducia dell’allenatore. Questo è il motivo per cui, ancora a distanza di anni, ricordo tutti i momenti vissuti durante la mia carriera, come se fossero accaduti ieri; sono soddisfatto di me stesso e li sento miei, perché so che li ho meritati con grande sacrificio.

Tutto cominciò nella stagione 1989/90, in serie D e fu subito promozione. Una stagione indimenticabile, rimasta negli annali della storia del club…

La prima esperienza al Savoia, fu davvero indimenticabile. All’inizio, nessuno ci dava per favoriti ma con tanto lavoro, impegno e sudore, riuscimmo, alla fine, a spuntarla. Mister Schettino, fu davvero bravo a creare un gruppo unito e compatto. Oltre a svolgere egregiamente la funzione di allenatore, fu anche un ottimo psicologo perché si sa che nello spogliatoio, bisogna essere bravi Nel venire incontro alle esigenze di tutti.

Nonostante giocaste in campo neutro, a Torre del Greco, il pubblico era sempre presente in massa…

Era incredibile. Lo stadio era sempre pieno, ovunque giocassimo. Posso affermare, senza dubbio, che la spinta del pubblico, si rivelò fondamentale per raggiungere quel traguardo.

La svolta arrivo’, dopo la vittoria di Policoro, dopo una partenza un po’ a singhiozzo…

Non partimmo benissimo. Poi, dopo aver vinto qualche partita consecutiva, cominciammo a prendere fiducia nei nostri mezzi. Inoltre, fu brava la società a potenziare in corso, la rosa. Mancava qualcosa a centrocampo ma con l’arrivo di Falanga, il reparto fu sistemato e riuscimmo a trovare quella continuità che mancava, continuità che poi ci permise di avere la meglio nel finale di stagione, sul forte Stabia.

All’epoca, la serie D, era ancora più complicata di oggi. Si andava a giocare su campi infuocati, molto spesso in terreno e le partite, somigliavano più a vere e proprie battaglie. Quelle vittorie, assumono dunque un sapore ancora più dolce?

Era davvero dura perché su ogni campo in cui andavamo a giocare, era guerra. Ricordo che le nostre avversarie, Juve Stabia e Stabia, avevano una disponibilità economica diversa dalla nostra, dunque promettevano consistenti premi partita, a chiunque ci fermasse. E non solo in trasferta, ma anche quando giocavamo in casa. Noi però, fummo bravi a non farci condizionare e anche quando giocavamo male, riuscivamo a fare quel goal che ci consentiva di vincere, seppur di misura, e di conquistare punti preziosi.

Prendesti parte, successivamente, ad un altro miracolo calcistico ancora più memorabile ovvero, la promozione in C1. Anche in quel caso, partiste con poche risorse economiche e senza i favori del pronostico…

Quello fu un traguardo incredibile. Hai detto bene: Anche in quel caso, nessuno avrebbe scommesso su di noi ma grazie ad un grande gruppo ed al grande lavoro di un tecnico come De Canio, riuscimmo a fare un percorso sensazionale, conquistando prima i play-off e poi, addirittura la promozione, sconfiggendo due avversarie come Benevento e Matera. Che festa scoppio’, a fine partita. Ho ancora impressi nella mente quei momenti, a distanza di tempo.

A proposito di De Canio. Sei stato allenato da tanti tecnici: Quali tra essi pensi sia stato il più preparato?

I due tecnici che mi hanno insegnato tanto durante la mia carriera, sono proprio De Canio e Pierino Cucchi, con cui ho vinto il campionato di C2 a Catania. Quest’ultimo non fece, però, la stessa carriera di De Canio perché aveva un carattere troppo buono. Gigi invece, era un tecnico che sapeva farsi rispettare sul campo, quando bisognava farlo. Con lui c’è stato sempre un rapporto molto bello. Quando andai via dal Savoia, mi ingaggio’ la squadra della mia città, la Battipagliese. C’è quel detto , di solito sempre vero, che recita: “Nemo profeta in patria”, ma in rari casi può essere sovvertito, ed io ci riuscii. Stavo disputando un grande campionato ed eravamo in vantaggio di nove punti sulla seconda, quando mi arrivo’ una sua telefonata. Si apprestava, con il suo Carpi, a disputare i play-off per la B. Mi disse: “Mi serve un buon terzino sinistro, vuoi venire”?. Quella occasione, per me, rappresentava l’ultimo treno per poter andare in B, perché quello precedente l’avevo perso, dopo l’infortunio a Messina. Feci così pressione alla società, affinché mi facesse partire e dopo un lungo braccio di ferro, ebbi la meglio. Mi trasferii cosi, a Carpi a metà stagione e arrivammo a disputare la finale play-off con il Monza. Perdemmo solo nel finale, a causa di un gran goal di Asta ma in quel periodo, il Monza era una società satellite del Milan, per cui doveva per forza salire. Con il mister, tutt’oggi ancora mi sento e qualche volta, ci siamo anche visti.

La tua, è stata comunque una carriera davvero ricca di soddisfazioni…

Si, sono davvero contento di quello che sono riuscito a fare. L’unico rammarico, è stato solo quello di non essere riuscito a salire qualche gradino in più, a causa di numerosi infortuni che mi sono capitati, in primis quello subito a Messina. Nella stagione 92-93, il Savoia mi cedette alla compagine siciliana che allora militava in C1. Ero partito bene e piacevo molto a Zeman che mi voleva portare con se’ in serie A, visto che ero uno dei quei calciatori che piaceva lui, con sprint e tanta gamba. Poi, all’improvviso, subii la rottura della tibia e del perone durante una partitella di allenamento. Il Savoia allora, mi richiamò. Mi dissero che avrebbero voluto recuperarmi fisicamente; mi affiancarono un preparatore e dopo lungo tempo, finalmente mi ripresi.

Appena conquistata la promozione in C1, facesti anche parte del nuovo ambizioso progetto dell’ex patron Moxedano, come mai dopo solo una stagione, andasti via?

Quando fummo promossi in C1, la nuova società avvio’ un nuovo progetto. Di quella fantastica cavalcata, rimanemmo in pochi ed arrivarono nuovi giocatori che avevano un ingaggio superiore al nostro, poiché provenivano tutti dalla B o da società importanti di serie C. Cominciarono dunque a crearsi competizioni e difatti lo spogliatoio, si spaccò. Si verificarono cose strane, che non facevano parte del mio modo di essere. Così, a fine stagione, decisi di andare via, convinto anche dal mio procuratore ma c’è da dire che la proprietà non fece nulla per trattenermi.

Nella tua lunga esperienza in maglia bianca, hai giocato numerosi derby e partite infuocate. Qualche aneddoto che ti è rimasto impresso?

Tra tutte le partite disputate, me ne è rimasta impressa una, in particolare. Si tratta di un derby giocato contro la Turris. Non ricordo esattamente l’anno preciso, ma ricordo che durante la partita ci lanciavano addosso buste di urina anche se quella non fu la cosa peggiore. A fine gara, le due tifoserie fecero invasione di campo, suonandosele di santa ragione. A quei tempi, per un calciatore quel tipo di esperienze erano davvero formative: ti tempravano, aiutandoti a crescere soprattutto caratterialmente. Prima di venire a giocare al Savoia, avevo già avuto esperienze in serie D con l’Acerrana ma è soprattutto negli anni 90’, con la casacca bianca, che sono diventato un calciatore completo. Anche perché, per giocare su quei campi, era necessaria anche la cattiveria agonistica.

Sei rimasto in contatto con qualche tuo ex compagno?

Abbiamo un gruppo sui social in cui ci sentiamo spesso. Vorrei tanto che si potesse organizzare una partita tra ex compagni di squadra ma anche tifosi. Sarebbe un modo per rivederci tutto insieme e rivivere quei bellissimi momenti. Salvatore Amura disse che dopo che questo periodo difficile sarebbe passato, avrebbe provato ad organizzare una rimpatriata. Spero che ciò accada il prima possibile.

Un messaggio ai tuoi ex tifosi prima di salutarci?

Tra le squadre in cui ho militato, il Savoia è quella a cui sono più legato ed è anche l’unica che seguo ancora. A Torre Annunziata, si respira calcio e i tifosi sono eccezionali: Da nessuna parte, durante la mia carriera, ho più trovato un pubblico simile a quello oplontino e spero che la nuova società, possa portare in alto il Savoia e creare un progetto duraturo perché questo piazza non c’entra niente con queste categorie.

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