Avevamo capito già da un po’ che la famiglia Mazzamauro si stesse organizzando per fare calcio altrove e, precisamente, a marzo scorso quando avevamo scritto dell’interesse del Giugliano per due calciatori del Savoia ed eravamo stati fortemente redarguiti dai vertici societari. Per noi era chiaro che il matrimonio Mazzamauro-Savoia stava per concludersi ma non lo abbiamo mai scritto apertamente perché la stragrande maggioranza della piazza di Torre Annunziata non ama che si racconti la verità. Provate a riavvolgere il nastro di 6-7 mesi. Era praticamente impossibile “dubitare” di Mazzamauro senza che la piazza rumoreggiasse. I tifosi del Savoia vivono in un “ricatto” continuo, vivono nel terrore costante di restare senza calcio e, per questo motivo, sono abituati a guardare le cose con scarsa obiettività. E guai a “parlare male” del presidente perché “se poi se ne va? Non la mettiamo la palla al centro?”.
Ma la storia d’amore tra il Savoia e la famiglia Mazzamauro non ha mai vissuto picchi d’amore intensi: basta ricordare, ad esempio, le tante esternazioni con le quali il presidente onorario si è lamentato del pubblico ed ha minacciato di abbandonare la nave oppure tutte le volte che sono stati censurati i messaggi dei tifosi che osavano muovere qualche critica, anche costruttiva. Il punto di rottura si è raggiunto nel corso di questa stagione con una gestione del progetto a dir poco fallimentare. Renato Mazzamauro, che, stando alle informazioni in nostro possesso, è colui che ha spinto maggiormente per andare via, si è reso protagonista di scelte di mercato disastrose che hanno portato alla rottura con l’ex diesse Musa e al conseguente caos che ne è derivato, con l’allontanamento di tanti componenti dello staff ed il cambio di ben tre allenatori. Proprio lui che, ad inizio anno, ci aveva telefonato per rimproverarci, solo perché provavamo a fare il nostro lavoro. “Ci fate saltare le trattative”, ci disse, “se andiamo via noi, voglio vedere cosa scrivete”, aggiunse, dimostrando quanto tenesse a cuore le sorti del club.
La famiglia Mazzamauro, quindi, lascia e si porta il titolo avendone ogni diritto, sia chiaro. A loro dire, a causa della mancanza di sponsor e per la mancata vicinanza dell’Amministrazione Comunale. Ma, in realtà, il Savoia, in tre anni, non ha mai avuto possibilità concrete di fare il salto di categoria. Il campionato non l’ha mai vinto e non si sono mai creati presupposti per essere ripescati. Quindi, lo stadio, c’entra solo fino ad un certo punto.
Tuttavia, come in ogni matrimonio che finisce, le colpe sono sempre da suddividere tra le parti equamente. Comprensibile che l’assenza delle istituzioni cittadine possa incidere su un progetto calcistico. Ma, mai come questa volta, l’amministrazione ha poche responsabilità visti i tanti problemi che attanagliano la città di levatura più importante dei lavori all’impianto calcistico cittadino (lavoro, criminalità, mazzette etc.) e la gestione della pandemia.
Comprensibile che fare calcio in Serie D è un investimento a perdere. Ma in altre piazze, come Taranto e Messina, i presidenti Giove e Sciotto hanno vinto, dopo anni di delusioni. Ogni volta, nonostante le delusioni, sono ripartiti con passione e amore per i colori della propria città, proprio quell’amore che dà quel pizzico di follia per fare il passo più lungo della gamba. Quell’amore che, ci fosse stato, avrebbe permesso di fare di più per trattenere il gruppo che la stagione scorsa aveva fatto paura al Palermo. Con Parlato & Co, probabilmente, sarebbe andata diversamente.
Comprensibile anche che i tifosi che “cercano” i presidenti, promettono ancora sponsor, settore giovanile e 5.000 spettatori a partita e che quindi Mazzamauro, probabilmente, credeva di trovare un contesto diverso dalla realtà.
Per il bene del Savoia bisogna che questa mentalità cambi alla svelta perché alla lunga sta mortificando la storia del club. Altrimenti, a breve, ci ritroveremo il prossimo “avventuriero” che vorrà farsi pubblicità con il blasone del Savoia. E quindi, se necessario, è meglio fermarsi, provare a migliorare le cose che in città non funzionano, ristrutturare lo stadio e creare la calamita che possa attrarre qualche imprenditore serio disposto ad avviare un progetto a lungo termine. Diversamente, saranno ancora delusioni e fallimenti.
In bocca al lupo, Savoia. I presidenti passano, i tifosi restano. E noi, caro Renato, continueremo a scrivere.
(Foto Il Cigno)