L’ex bomber Stefano Ghirardello ricorda i suoi trascorsi al Savoia: “A Torre Annunziata mi sono sentito amato”

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Intervista all’indimenticato numero undici oplontino che fece innamorare i tifosi oplontini con il suo sinistro fatato.

Il coro “e segna sempre lui…”. Quante volte durante la stagione 1999/2000 si sentiva l’intero stadio stracolmo cantare quella canzone il cui eco rimbombava anche a km di distanza, come testimoniavano alcuni abitanti delle zone limitrofe non solo di Torre Annunziata ma anche di Trecase. Stiamo parlando del grande bomber Stefano Ghirardello uno degli ultimi rappresentanti di un calcio che di lì a poco avrebbe subito una grande trasformazione, svuotando lentamente gli stadi con il concomitante sviluppo della pay-tv. Per l’attaccante vicentino, alla sua prima esperienza al sud-Italia, fu subito empatia con la sua nuova piazza. Rapito all’istante dal coinvolgente calore dei tifosi trasformò quest’ultimo in energia positiva che riusciva, quasi ogni domenica, a tramutare in goal. Ne riuscì, per l’esattezza, a mettere a segno ben diciassette, un record assoluto che lo fece già entrare di diritto nella storia del club. A lui però non bastava: voleva fortemente e ci provò fino all’ultimo, a regalare una salvezza che avrebbe avuto del miracoloso considerato che ormai era già compromessa da un pò di tempo. Si arrese solo all’ultima giornata, ironia della sorte, proprio accanto alla sua città natale, a Vicenza quando, dopo aver messo a segno il suo ultimo goal, si avviò mestamente, verso la sua metà campo senza esultare, come faceva di solito quando correva sotto la curva di “Giraud” ebbro di gioia. Quella fu la sua ultima istantanea prima di tornare a nord, direzione Cittadella, ma che stava accadendo dentro di lui in quel momento? Probabilmente si era accorto che in fondo qui non si stava poi tanto male, anzi ci sarebbe voluto davvero restare. Di lì a pochi anni, un famoso film (Benvenuti al Sud) avrebbe poi racchiuso alla perfezione, con una frase, quelli che furono i suoi sentimenti: “Quando un forestiero viene al sud, piange due volte, quando arriva e quando parte”. Con lui, raggiunto telefonicamente, abbiamo voluto ripercorrere proprio quelle emozioni.

Stefano, come è cambiato oggi il calcio rispetto a quando eri calciatore?

Da quando ho smesso di giocare ho cominciato ad allenare dapprima nelle giovanili del Verona, poi in Promozione e adesso sono vice dell’Ambrosiana, squadra che milita in serie D. Sono dunque rimasto a contatto con l’ambiente e posso dirti che questo sport è cambiato soprattutto dal punto di vista della personalità e approccio alle difficoltà della vita quotidiana. Oggigiorno tanti giovani calciatori si arrendono alle prime difficoltà e decidono di mollare. Questo, credo sia dovuto al fatto che ci sono troppe distrazioni rispetto al passato. È un peccato perché ci sono tanti talenti con tanta qualità, che potrebbero emergere ed invece, si perdono per strada.


Prima, anche gli spogliatoi sembravano più uniti, adesso invece i rapporti umani tra calciatori sono merce più rara…

Esatto hai toccato un altro tasto importante. Ai miei tempi si stava assieme nello spogliatoio, si giocava a carte, si rideva e scherzava. Oggi invece i giovani preferiscono chiudersi in camera e trascorrere ore ed ore al cellulare. I contatti umani sono dunque rari e se ci sono, si mantengono molto più freddi e distaccati.

Cosa pensi di questo periodo complicato che si sta trovando a vivere la nostra società? Pensi che il Governo si stia adoperando bene per gestire l’emergenza?

Non voglio entrare nel merito delle decisioni politiche. C’è chi ha studiato per quello e di conseguenza capisce meglio di me tali dinamiche, ma percepisco, comunque, un controsenso tra i numerosi provvedimenti che sono stati adottati. Ci vorrebbero, a mio avviso regole più sensate. Inoltre non dimentichiamo che il Covid ha inciso sulle persone soprattutto dal punto di vista psicologico. A furia di leggere e ascoltare le tante notizie divulgate dagli organi di informazione, si finisce per alimentare solo tanto terrore per cui bisognerebbe evitare di calcare troppo la mano.

Sul mondo del calcio invece, che impatto ha avuto questo stato di emergenza?

La forbice tra le varie categorie si è allargata sempre di più. Nelle serie minori le società hanno risentito soprattutto della mancanza di sponsor i quali hanno dovuto mettere in cassa integrazione tanti lavoratori. Penso per esempio sopratutto ai piccoli club di Provincia, per i quali proprio tali introiti sarebbero risultati fondamentali per garantirgli una sopravvivenza a lungo termine. La crisi, ovviamente ha avuto un effetto cascata che ha riguardato anche la serie A e B. Tanti club hanno dovuto rinunciare agli introiti derivanti dagli incassi ai botteghini ma è anche vero che possono almeno contare sugli importi provenienti dai diritti tv.

Veniamo ora al Savoia. Che ricordi hai della tua esperienza in maglia bianca?

Posso dirti che Torre Annunziata è una delle poche piazze in cui ho lasciato amicizie che durano ancora a distanza di anni. Lì mi sono sentito amato come mai mi era capitato da nessuna parte e al di là di quello che sono riuscito a fare in campo, ogni volta che scendevo sul rettangolo verde del Giraud, avvertivo una voglia matta di giocare, di regalare qualcosa di importante alla gente. Le emozioni che ho provato indossando quei colori, le ho provate solo a Torre e nella mia carriera, solo due piazze, tra cui appunto il Savoia, mi sono rimaste dentro. Logicamente ogni piazza in cui ho giocato mi ha trasmesso qualcosa di diverso ma, ribadisco, mai qualcosa di simile a quello che ho vissuto lì.

Quali ricordi, partite, reti, ti sono rimasti più impressi?

Con il Savoia sono riuscito a raggiungere un record che mi pare ancora oggi resista nella storia del club ovvero quello delle otto reti nelle prime sette gare di campionato. Fui invitato anche nella trasmissione Controcampo per parlarne e ne fui molto orgoglioso perché finalmente Torre Annunziata cominciava a balzare agli onori della cronaca, non solo per le cose negative ma anche per quelle positive. Come ti dicevo prima, quando scendevo in campo avevo voglia di giocare proprio per quella gente, per regalargli qualcosa che non avevano mai avuto, un sorriso oppure una gioia. Quelle erano le motivazioni che mi spingevano a rendere al massimo delle aspettative. Per ciò che riguarda i goal invece, penso che ad ognuno di essi sia legato un ricordo particolare ma se devo menzionarne uno, direi la rovesciata di Pistoia, se non altro per la sua spettacolarità. Ricordo purtroppo anche il rigore sbagliato contro il Napoli. Da allora tutto andò storto, non riuscimmo più a far bene e il campionato terminò come tutti sappiamo.

A tuo avviso cosa non ha funzionato in quella stagione? Il Savoia si sarebbe potuto salvare con un pò di accortezza in più?

A mio avviso arrivarono troppi calciatori diversi e di conseguenza non riuscivamo a trovare il tempo per amalgamarci. Lo spogliatoio sembrava un porto di mare. A metà campionato arrivò poi un nuovo allenatore, Varrella, che aveva un modo di giocare ed una filosofia diversa rispetto a Jaconi. Credo che se la società avesse rinforzato dall’inizio la rosa, avremmo potuto raggiungere l’obiettivo salvezza anche perché in quegli anni, molte squadre neo-promosse, dimostrarono come cambiando poco e puntando sulla compattezza, si potesse riuscire a fare qualcosa di importante.

Hai giocato sia al Nord che al Sud. Il calcio si vive differentemente in queste due zone del Belpaese?

Senza dubbio. Al sud ti fanno sentire un giocatore diverso; c’è un attaccamento maggiore ed il calore che trasmettono i tifosi, aiuta ad esaltarti in campo. Sostengo difatti che qualsiasi giovane, per crescere e capire se può andare avanti in questo sport, debba fare almeno un anno di esperienza in una piazza del Sud Italia.

Continui a seguire il Savoia?

Certo. Quest’anno era partito male ma è riuscito a conquistare un filotto di vittorie consecutive che l’hanno proiettato nelle zone alte della classifica. Penso che manchi tanto al Savoia il supporto del pubblico. Sarebbe stato sicuramente diverso con i tifosi al “Giraud”; non è da tutti, del resto, poter contare su un sostegno del genere. Spero che continui così, anche se il girone in cui è capitato è difficile con tante piazze che puntano alla vittoria.

Quale è invece l’obiettivo di Ghirardello per il futuro? Fare carriera come allenatore?

Questo per me rappresenta solo un hobby. Ho un lavoro che mi toglie gran parte della giornata per cui ho accettato la carica di vice-allenatore dell’Ambrosiana che mi permette di conciliare entrambe le attività, senza allontanarmi troppo da casa. Sono rimasto nel mondo del calcio solo perché non riesco a stare lontano da un rettangolo verde.

Un messaggio che vuoi inviare ai tuoi ex tifosi, prima di salutarci?

Voglio augurare, in primis, a tutta la città, serenità e salute, soprattutto in questo periodo delicato che stiamo vivendo. Al Savoia, invece, auguro di ritornare al più presto in categorie più consone al suo blasone.

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