“I presidenti passano, i tifosi ed i simboli restano”. Quante volte, da bambino, sentivo queste parole sulle gradinate del Giraud. Erano altri tempi, era un altro calcio: c’erano più galantuomini, meno quaquaraquà e meno leccaculo. E soprattutto non c’erano i social network a dare voce all’ignoranza e Berlusconi non aveva ancora compiuto l’opera di creazione di una generazione di ebeti con la sua TV spazzatura. E pensare che Pasolini lo aveva previsto anni prima che avremmo fatto questa fine, ma lasciamo stare.
Chi mi conosce, anche chi mi ha incontrato per poche ore, sa una cosa di me e non la dimenticherà più: che sono tifoso del Savoia. Lo sanno tutti, anche i muri. Tutti sanno che per farmi felice, basta regalarmi qualcosa del Savoia. Se penso alla torta di Mena a forma di scudetto, per il mio trentatreesimo, ancora mi emoziono. E anche quando indosso con fierezza la borsa a tracolla del Savoia che mi ha regalato il caro amico Eniolone. Quello con i bianchi è un amore che va avanti da quando, una domenica pomeriggio del 1988, tenendomi per mano, babbo mi portò a vedere Savoia-Sambiase. Si giocava a Boscotrecase, per via dei lavori al Giraud. Ricordo che non c’erano gli spalti e neanche l’erbetta in campo. Se chiudo gli occhi, rivedo nitida l’immagine di me, con le manine aggrappate alla rete, e il cuore che batteva a mille per quegli undici in maglia bianca. Fu subito amore e da allora quante avventure! Non basterebbe un libro per raccontare 33 anni di Savoia: le gioie, i pianti, le arrabbiature. E poi, dal 2003, c’è oplontini.com che mi accompagna in questa storia e che per me è come un “figlio”. Da quell’estate in cui l’amico Pietro Farro ebbe quest’idea, ne è stata fatta di strada. E così sono passato da tifoso a tifoso-pubblicista e poi a tifoso-direttore. Ma pur sempre un tifoso.
In questa nuova veste, molto spesso, ho dovuto scontrarmi con l’ignoranza della gente: purtroppo, oggi giorno, molti (dove per molti intendo dire quasi tutti) non vogliono sapere la verità e, se gliela dici, la strumentalizzano contro di te. Facciamo un esempio: ricordate l’anno in Lega PRO con Quirico Manca? Beh, io me lo ricordo bene quando scrivevamo che c’era qualcosa che non andava, che bisognava portare i libri in tribunale (a testimonianza ci sono anche i “clippini” di Strikler che risalgono a dicembre) mentre altre testate leccavano il culo alla società e lo hanno fatto fino all’ultima giornata. Bene, sapete cosa diceva la gente? Che eravamo gufi. Che portavamo seccia. Che non volevamo bene al Savoia. La gente vuole leggere bugie. Ma quando vuoi bene veramente a qualcuno (o qualcosa, in questo caso), le bugie non gliele dici. Cerchi sempre di dire le cose come stanno, anche se fanno male, perché è quella la cosa giusta da fare. O no? Poi, certo, si può sbagliare, siamo umani. Ma se si tratta di Savoia è senz’altro in buona fede.
E così è successo che domenica scorsa, senza averne alcun diritto e senza aver chiesto il permesso alla società, abbiamo fatto una diretta Facebook dal “Giraud” (senza mostrare immagini della gara e senza fare cronaca), alla quale hanno partecipato la bellezza di 23 persone in media, con un picco di 69 utenti collegati nei primi secondi. Una “diretta-stadio” in cui si commentava il match contro l’Arzachena e si parlava di Savoia, organizzata “al volo”, senza alcuna volontà di arrecare danno, tant’è che tre componenti della redazione, me compreso, hanno acquistato la diretta streaming per seguire la partita e “dare il proprio contributo alla causa”.
Qualche collega bontempone (ed anche molto ignorante in materia di social), però, ha pensato bene di divulgare una screenshot in cui si legge il dato della copertura del post (cioè quante persone, scorrendo la pagina, hanno visto che esisteva quel post e non quante persone erano collegate realmente alla diretta). E così la società ha preso la palla al balzo per inviarci una diffida: niente più accesso al Giraud e divieto assoluto di intervistare i tesserati del Savoia. Abbiamo provato a chiedere scusa, umilmente, spiegando che l’errore, seppur grossolano, era fatto in buona fede e non per arrecare danno, ma non c’è stato verso. E allora, abbiamo capito che, probabilmente, la verità è un’altra: ci aspettavano al varco per mandarci via. Che dirvi? Bravi!
Più che la diretta, per la quale ancora ci scusiamo, il problema, stando a quanto ho potuto capire, è che cerchiamo di dire le cose come stanno, senza travisarle, con lealtà. Finché attaccavamo il Palermo, per gli errori arbitrali, andavamo bene. Ora che diciamo che 522 biglietti, tutto sommato così pochi non sono, considerando i nuclei familiari (non ci vuole un arco di scienza per capire che allo stadio pagano padre e figli, a casa se ne compra una sola, di diretta), non andiamo più bene. La verità è che i tifosi, e purtroppo anche i presidenti, vogliono una stampa compiacente. Gli altri? Possono starsene a casa. Per la serie “il pallone è mio e si fa come dico io”. E allora va bene così: noi continueremo nel nostro lavoro fatto di sacrifici e passione e senza scopo di lucro con l’unico obiettivo di portare in alto il nome del Savoia cercando, però, di non raccontare bugie o scrivere per compiacere qualcuno. Tanto, alla fine, “i presidenti passano, i tifosi e i simboli restano”. E noi, potete giurarci, resteremo.