L’indimenticato ex attaccante dei bianchi Cristiano Masitto, mette a nudo le proprie emozioni, ripercorrendo indietro con la mente, quei momenti indelebili. E confessa qual ė Il suo sogno.
Ci sono stati eroi, nel corso del tempo, capaci di cambiare completamente il corso della storia, come per esempio Alessandro Magno e Cesare, solo per citarne alcuni, e calciatori, simili ad eroi, in grado di cambiare la storia di un club. Potremmo citarne tanti, la lista sarebbe sicuramente lunga, e uno di questi corrisponde al nome di Cristiano Masitto.
Sì, avete letto bene, ė proprio quel Cristiano Masitto che circa venti anni fa incastonò, nei play-off, due diamanti preziosi nel collier della serie B che poi regalò alla città di Torre Annunziata, prima di ritornarsene a giocare al nord, come aveva sempre fatto prima di allora. Eh si, perché quella dell’attaccante milanese fu l’unica esperienza della sua carriera nel profondo sud. Sarzanese, Spezia e Vicenza furono le società che lo lanciarono. Poi si trasferì in Romagna dove perfeziono’ le sue abilità e tempro’ il proprio carattere, indossando le casacche di Carpi (C1), Ravenna (B) e Cesena (prima C1, poi B). Dunque, la chiamata del Savoia in un freddo Gennaio del 1999.
Chissà cosa balenava nella sua testa, quel giorno. Sarò pronto per questa nuova sfida, in una zona del Paese in cui si vive di calcio ventiquattro ore su ventiquattro?
Come sarà la vita, laggiù, in fondo allo Stivale? Ma appena giunto nella sua nuova squadra, le sue paure furono subito fugate e si accorse che in fondo, lì, l’inverno non era poi così freddo come immaginava.
I suoi nuovi tifosi e la società, lo accolsero alla grande e dopo un primo periodo di ambientamento, cominciò a ritagliarsi sempre di più il suo spazio. Andava già fin troppo bene, ma mai e poi mai si sarebbe immaginato di diventare addirittura una specie di eroe Nazionale. Lui che da quelle parti, forse non ci era mai neanche passato e che prima degli spareggi aveva siglato soltanto una rete in trasferta contro la Battipagliese, decise improvvisamente di indossare i panni del condottiero, infilzando nell’ordine Palermo e Juve Stabia con due reti d’antologia che resteranno per sempre impresse nell’immaginario popolare da tramandare ai posteri e, soprattutto, nella storia di un club che prima di allora, una storia già l’aveva ma che dopo quelle due gare, divenne ancora più gloriosa. Una sorta, insomma, di Robin Hood venuto da fuori per regalare gioie e sorrisi, per poi, a malincuore, sparire avvolgendosi così in un’aurea leggendaria. Si trasferì al Como, alla Carrarese e alla Lucchese prima della importante chiamata della nuova Florentia Viola dei Della Valle, ripartita dalla C2 dopo il fallimento durante la gestione Cecchi Gori. Concluse, quindi, la carriera da calciatore al Citta’ di Jesolo (Venezia), dopo essere passato per Rovigo e Bassano del Grappa.
Non abbandona però il mondo del calcio, e comincia ad allenare, cominciando la sua nuova avventura sulla panchina del Montebelluna, per poi passare, nell’ordine, al Monselice, all’ Abano Terme, al San Paolo Padova, alle giovanili della Fiorentina, alla Triestina, al Campodarsego, dove raggiunge i play-off ma viene eliminato in semifinale dalla Virtus Verona e alla Correggese (che non riuscirà a salvare, dopo essere stato chiamato per risollevare le sue sorti).
Quest’anno, una nuova sfida lo attende in Provincia di Modena, a Castelvetro (Eccellenza) dove proverà a rilanciarsi per conquistare, con il lavoro e il sacrifico che da sempre lo contraddistingue, una chiamata da una società di categoria superiore, con un sogno neanche tanto velato, che custodisce nei meandri del suo cuore… Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, provando a ripercorrere con la mente, quei ricordi indelebili.
Dopo l’esperienza al Savoia, com’ė proseguita la sua carriera?
“Dopo aver continuato a giocare ancora per qualche anno, ho intrapreso la carriera da allenatore. Ho guidato in D, Montebelluna, San Paolo Padova, Campodarsego, che ho condotto ai play-off, Triestina, gli Allievi della Fiorentina, la Correggese e quest’ anno, ho ricevuto la chiamata del Castelvetro, compagine romagnola che milita in Eccellenza. Tempo fa, avrei dovuto allenare una squadra Legapro. Attesi un po’ di tempo ma la società era alle prese con alcuni problemi economici, dunque non se ne fece più niente”.
Quando si fa il nome del Savoia, le viene un pizzico di nostalgia?
“Sicuramente! Ho grande nostalgia del Savoia, del calore e dell’affetto che mi trasmetteva la gente, la società e tutti i componenti della rosa. Seguo sempre le sorti dei bianchi e negli ultimi anni ho potuto constatare che fa da spola, con una certa regolarità, dalla D all’ Eccellenza e viceversa. È un peccato, perché una piazza del genere, meriterebbe una stabilita’ societaria che gli possa garantire di gravitare, in pianta stabile, in categorie più consone al suo blasone”.
Tra tutte le piazze in cui ha giocato, Torre Annunziata è quella che le è rimasta maggiormente nel cuore?
“Assolutamente sì! Ho sempre pensato che giocare al sud abbia un sapore diverso, rispetto al nord. Ogni calciatore dovrebbe provare questa esperienza perché ti forma e ti plasma sia dal punto di vista caratteriale che tecnico. Il calore e l’affetto che mi trasmettevano i tifosi, quando indossavo la casacca bianca, era un qualcosa di unico e ancora oggi, quando ripenso a quei momenti, mi vengono i brividi. Durante quell’annata, la maggior parte dei calciatori della rosa, provenivano dal nord o comunque da altre parti del Paese. Penso ai vari Tiribocchi, Monza, Porchia etc. Dunque, pensare a ciò che siamo stati in grado di realizzare, è qualcosa di fantastico. Emozioni del genere, nella mia carriera, le ho vissute forse solo quando indossavo la maglia della Fiorentina. Anche allora, successe che quando segnai il goal decisivo che ci regalò la promozione, i tifosi entrarono in campo ad abbracciarmi. Capii, guardandoli negli occhi, che avevo regalato loro qualcosa di importante. La stessa cosa successe quando segnai contro il Palermo e la Juve Stabia. Dopo la rete alla Favorita, l’abbraccio dei tifosi e la loro commozione, mi fece capire che gli avevo regalato un sogno. Un’ emozione che è difficile da raccontare”.
Cosa pensa dell’impegnativo girone H in cui è stato inserito il Savoia?
“Come dicevo prima, giocare al sud è sicuramente più complicato dunque i raggruppamenti meridionali sono molto impegnativi. Sarà importante, a mio avviso, cercare di fare quanti più punti possibili in casa, sfruttando il fattore campo, in modo da poter disputare un campionato tranquillo, senza l’assillo di dover fare per forza risultato su campi difficili”.
Un ultimo pensiero prima di lasciarci?
“Un giorno, spero di poter realizzare un sogno, ovvero quello di poter allenare il Savoia. Sto lavorando proprio per questo, cercando sempre di migliorarmi con il lavoro e il sacrificio perché penso che per ottenere panchine del genere, bisogna prima meritarlo. Auguro ai bianchi di poter ritornare al più presto nelle categorie che meritano e mi auguro che la nuova società possa garantire quella programmazione che negli ultimi anni è sempre mancata”.